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Donne che ripartono:                                                 Carla e il pensiero della possibilità.

31/5/2017

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5 dicembre 2015: il mio primo giorno da vera libera professionista. Avevo 41 anni appena compiuti. 
Dopo sedici anni di lavoro da dipendente, sempre in grandi aziende, passando da multinazionali di consulenza informatica e infine lavorando nella sede centrale di una delle più grandi banche italiane, il ‘passo’ verso la libera professione per me è stato notevole e ancora oggi non mi sono completamente abituata!
Ah, dimenticavo: ora faccio il coach, per clienti privati e piccole aziende, e sono docente in coaching in una scuola, per nuovi coach professionisti.

Faccio un passo indietro per raccontarvi come è andata.
Il lavoro in banca da qualche anno non mi piaceva più. C’era stato un repentino ‘declino’ della qualità del lavoro che mi veniva richiesta, dell’autonomia con cui potevo lavorare, lo stipendio era congelato da sei lunghi anni e soprattutto io non percepivo assolutamente più le due cose fondamentali per me per poter andare avanti: l’utilità del mio lavoro e il senso di appartenenza ad un gruppo di lavoro competente.
Le richieste per cambiare all’interno dell’azienda venivano respinte con un ‘no’, le proposte che avanzavo per migliorare la qualità del mio lavoro altrettanto, le richieste economiche erano stroncate prima ancora di essere esplicitate.
L’unica via immediata verso la resistenza era stata per me frequentare un corso di coaching, inizialmente con l’obiettivo di prendermi cura del mio problema lavorativo, ovvero  trovare il modo per vivere in modo sereno anche questo periodo di stallo.

Cercavo un modo, il più indolore possibile, per non cambiare e accontentarmi del mio lavoro. E, come si sa, spesso le nostre intenzioni iniziali variano nel tempo e si trasformano.

Ricordo esattamente il momento in cui, di getto, mi sono iscritta al corso di formazione in coaching: il capo mi aveva appena obbligata a intraprendere per la settimana successiva  un viaggio a Napoli, col compito di tenere un’importante riunione su temi di cui non sapevo assolutamente nulla. Il motivo? Il mio diretto superiore, remunerato circa il doppio di me, aveva paura dell’aereo e il suo rifiuto ad andare a Napoli era stato accettato. 
La mia richiesta di poterne parlare, di pianificare la riunione in tempi adatti perché io  potessi formarmi, era stata respinta. Quell’anno il premio se lo intascò lui e io non fui nemmeno ringraziata.  

Spesso le decisioni importanti della mia vita sono avvenute grazie alle persone  che mi hanno ostacolata, che mi hanno dimostrato la loro incapacità, il loro disinteresse, generando in me moti di vera e propria ribellione.

Il corso di coaching fu uno di quelli  e andò a compensare tutte le sensazioni negative della mia trasferta a Napoli. Era il 2012.
Frequentando il corso mi ero resa conto che, oltre a permettermi un’importante crescita personale, stare seduta sulla sedia del coach mi piaceva. Mi piaceva ascoltare le persone e imparare tecniche e metodi per supportarle nell’affrontare i loro problemi.
A fine corso nel 2013 decisi di compiere un’altra azione ‘compensativa’: esercitare come coach alla sera e al sabato, come seconda professione oltre al mio impiego full time in banca.
Mi piaceva molto, ottenevo grandi soddisfazioni nel vedere le persone arrivare in un modo e finire il loro percorso cambiate, ero contenta dei loro ‘grazie’.
Credo che avrei proseguito così, con due lavori senza sapermi decidere, ancora per molto tempo, se la vita con tutta la sua potente sincronicità non mi avesse messa alla prova. 

Il 30 giugno 2015, alle 8.10, mentre stavo andando a lavoro in banca, un’auto mi centrò in piena velocità senza vedermi sulle strisce pedonali sotto casa.
Rispetto alla situazione, i danni per me sono stati contenuti.
Anche qui, pare brutto, mi sento di dire che l’incidente è stato il passo decisivo per me per maturare decisioni importanti.

Trascorrere un mese in casa, prevalentemente distesa a letto, senza riuscire a fare nulla se non pensare e usare il cellulare, cambia la prospettiva che hai sul mondo. E anche i due successivi mesi per ritornare a camminare da sola. 

I pensieri su quello che sarebbe potuto accadere quel giorno mi portavano angoscia e allo stesso tempo mi facevano riflettere sul fatto che la mia vita precedente aveva completamente perso di senso.
Mi ritengo una persona ironica e infatti in quei lunghi mesi la frase che si era creata nel mio discorso interiore era ‘Io non voglio morire bancaria!’. 

Il mio mesto rientro al lavoro in banca avvenne l’1 ottobre 2015 e il 4 novembre, giorno del mio onomastico, presentavo la mia lettera di dimissioni volontarie. Non sarei morta bancaria, bene.

Fino a qui, vi ho raccontato gli avvenimenti esterni, le cose che sono accadute e questo a tutti gli effetti sembra un cambiamento di lavoro e lo è anche.
In realtà per me si è trattato di un cambiamento della mia persona e dei miei modi di pensare che si è esplicitato anche in un radicale cambiamento di lavoro.
Mi piace quel giochino di parole in cui al posto di ‘cambiamenti’ si scrive ‘CambiaMenti’. Mi ci trovo. Ho cambiato pensieri e ora vi dico quali.

Ho lasciato andare tante convinzioni che mi limitavano, quali ‘non ce la farò’, ‘il lavoro da dipendente è l’unica via per avere una sicurezza’, ‘a 41 anni ormai è tardi’.

Questi pensieri possono essere di grande aiuto per non compiere un gesto folle, per cui non vi sto dicendo di abbandonarli senza prima aver fatto una bella riflessione. 
La mia ha messo in conto gli aspetti economici, le concrete possibilità che avevo già per avviare la nuova attività e una seria valutazione dei costi, soprattutto emotivi, che stavo pagando da anni. 
Tutti, A eccezione del mio compagno e della mia famiglia d’origine (grazie!), mi facevano a suo tempo un bel lavaggio del cervello sul ‘stai facendo una follia’, ‘non ce la farai’, ‘è un azzardo’, ‘devi farti piacere il tuo lavoro’, ‘pensa a chi un lavoro non ce l’ha nemmeno’, ‘te ne pentirai’, ‘guarda che poi non ti riprendono indietro’.
A volte mi sono trovata a pensare che avessero più paura loro del mio cambiamento che non io.

Fatto spazio nella mente, dopo aver tolto questi pensieri, sono andata coltivandone di nuovi, che essenzialmente fanno capo ad uno solo: ‘E' possibile’. 
Niente di stratosferico, non è un ‘se vuoi, puoi fare qualsiasi cosa!’. E’ un pensiero di possibilità  che ne porta con sé altri, legati all’impegno e al ‘volere’. 


A poco più di un anno di distanza, vi dico che il percorso è intrapreso, che non mi sono mai pentita, che non tornerei indietro nemmeno con un revolver puntato alla tempia, che ho progetti per il futuro, che ho la consapevolezza che non sarà una passeggiata. E soprattutto che ‘è possibile’.
Auguro anche a voi di intraprendere i CambiaMenti che vorrete!

N.d.R. Grazie Carla per aver raccontato la tua storia e in bocca al lupo per la tua nuova vita!
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Donne che ripartono: la storia di Stefania. Dopo la pioggia, arriva il fucsia.

31/3/2017

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​Incomincia tutto da un sogno.
Inizia sempre tutto da una scintilla, e il mio sogno era di diventare un'artista. Così, dopo il diploma di liceo classico preso nella mia terra, la Sardegna, decido di tentare l'esame di ammissione all'Accademia delle Belle Arti di Roma.

Il 20 agosto del 2004 mi trasferisco in una piccola stanza doppia, in condivisione con una ragazza. L'appartamento è un caos, tra lei e i ragazzi delle altre stanze, ma a me non importa.

La mia metà di stanza profuma di carta spolvero, quella giallino hai presente? Di colori acrilici, carboncino e il mio sogno.


Inizio l'accademia con il cuore colmo di gioia: gli stimoli sono infiniti. Mi sento finalmente al posto giusto, nel momento giusto. Incontro una persona, che sentivo da un pò di tempo tramite internet, una storia a distanza. Questa persona mi usa, come io uso gli stracci per pulire i pennelli. Mi plagia e mi infligge una ferita immensa.
LA FERITA. Non quella di un amore finito, di un amore non corrisposto. Di un amore che non è amore, che è sopruso, che è prevaricazione, che è violenza. Mi chiudo in me stessa e nel mio sogno, cerco di mettere i piedi uno davanti all'altro e di percorrere la mia strada.


Vinco una borsa di studio e mi trasferisco in uno studentato alla periferia di Roma con trenta e più studenti, lascio avvicinare una persona. Mi appoggio a lei e lascio che provi a curare le mie ferite. Maldestramente, ma è l'unica cosa che ho. 
Nei quattro anni successivi studio come una pazza e, finalmente, mi laureo. Il sogno di diventare un'artista è una piccola fiammella nel  mio cuore, quasi spenta. 

Ricordo il giorno della mia laurea.  Sorridevo. Contavo i giorni che mi separavano dalla partenza per il Piemonte. Finalmente  mi lasciavo alle spalle quella città,  tanto amata e tanto odiata. 

Mi trasferisco vicino Torino, una casetta piccola, mal strutturata e mal arredata. La persona al mio fianco non riesce a starmi vicino, la ferita si riapre. Non esco più di casa. Ricordo ancora la macchia sul soffitto a forma di nuvola. Mi costruisco un'armatura di grasso. Tornano a bussare vecchi disturbi, apparentemente dimenticati.
Arriva nella mia vita una cagnolina: il manto bianco, i polpastrelli rosa e una macchiolina fra i suoi occhi azzurri. Anche lei ha paura. Iniziamo piano piano a uscire fuori di casa, inizio un corso creativo.  Sento nel petto la fiammella del mio sogno che inizia a crescere. Intanto ci trasferiamo in un'altra casa e decidiamo di sposarci. Mi racconto che le cose cambieranno.

Il mio abito da sposa è rosa, ho un bouquet fucsia. Nelle foto Sorrido.  Sono felice, sembrerebbe. Eppure non mi riconosco.

La vedo, li, in fondo agli occhi una piccola ombra nera. Mi pento nel preciso istante in cui varco la soglia di casa il giorno dopo, con la fede al dito. Ma non dico niente. Non posso dire niente.  Devo essere perfetta, devo sorridere. Inizio a costruire la mia vita partendo da me.
Dopo due anni arriva la spada di Damocle. Il filo si spezza. Mi chiede un bambino. Ma come si può fare un bambino senza sfiorarsi? L'ombra nera si allarga sul mio viso, cado in depressione. L'unica cosa che sento è :"fatti curare".

Inizio un percorso terapeutico, ricordo l'ansia, il respiro corto. L'aria che non arriva ai polmoni. Le cose, a casa vanno sempre peggio. Se non fosse per la mia cagnolina forse non uscirei di nuovo di casa. Gli amici sono lontani,  a Torino poche persone e tutte coinvolte dal punto di vista familiare. Non posso confidarmi con nessuno.
In area cani conosco una persona. Diventiamo amiche. Mi fa entrare nel suo mondo e lei entra nel mio: mi sorprendo a cercare la sua macchina parcheggiata sotto casa, ad aspettare di vedere prima la visiera del suo cappello e poi i suoi occhi languidi.
Sento profumo di Marlboro Light e spero che sia lei.

​Nel frattempo il mio sogno sta crescendo, inizio a fare qualche lavoro nel mio settore. Questa persona mi chiede una mano, ad aprile aprirà un negozio e vuole lavorare con me sulla grafica. Sento il cuore in gola ogni volta che viene a prendermi a lavoro per poter lavorare al suo progetto.
Siamo talmente amiche che l'aiuto a sistemare il negozio: pitturare, pulire, intonacare. Non sento la fatica, non mi interessa. Mi basta stare anche solo un secondo di più li. Conosco la gelosia. L'attesa dei messaggi. La rabbia nel non riuscire a dedicare il tempo a questa persona. Mi scopro bella, capace di flirtare. Ma non posso, non devo. Sono una donna sposata e questa persona è impegnata. Convive da dieci anni. E poi....è una donna. Com'è possibile?

Inaugura il negozio, litighiamo e io mi ritrovo a piangere lacrime calde e salate. Cos'è questo sentimento? E poi mi bacia. E lì capisco tutto. Tutti i tasselli vanno al loro posto. Lascio casa, svesto i panni della moglie devota e accondiscendente e lascio venire fuori tutto quello che ho sempre celato. Non ho soldi, solo me stessa e l'amore. Due cose totalmente sconosciute.
I primi sei mesi sono meravigliosi. Ci trasferiamo nel vercellese, facciamo le pendolari ogni giorno. A casa non abbiamo manco un lavandino, ma ci basta l'amore mi dico. Non riusciamo più a far fronte alle spese. Vendiamo la macchina, la moto, tutto l'oro che avevamo. Ci trasferiamo qualche giorno in macchina. Io, lei, due cani e il nostro amore. Un amico ci ospita nella sua seconda casa. È novembre e non c'è riscaldamento. Le lenzuola sono tanto umide da sembrar bagnate. Ci trasferiamo nel retro del negozio, i soldi scarseggiano. Litighiamo, ci lasciamo, ci riprendiamo. L'unica costante siamo noi. Non riusciamo a stare separate. 

Finalmente uno spiraglio di luce. Mi chiamano per una supplenza. Inizio a lavorare a scuola. Un anno fa affitto un piccolo alloggio nel vercellese. La mia prima casa.

Casa mia è una nuvola fucsia: scopro i colori. Io amo il fucsia e lui ama me.

Mi trucco, studio, esco, scrivo, fotografo. Mi nutro di arte, amore e passione. Amo il mio lavoro, amo la mia vita, amo lei, amo me. Dopo sei mesi,con un piccolo prestito, riesco a comprare una macchina,  la mia prima macchinina: una Opel Corsa scanciofata di dieci anni.
Blue Monday,  l'ho chiamata.
Oggi lavoro, anche se precaria, ho la mia vita, so chi sono e dove  voglio andare. Si sono aggiunti alla famiglia una gattina nera e un criceto.

Mentre scrivo queste righe sento il respiro di Maya che russa sul suo tappeto, Kita è acciambellata nel suo kenel, intenta a farsi la zampicure. Fate fa le fusa sulla mia pancia. C'è serenità nell'aria e molta stanchezza, ma sento quanto le mie pelose sono serene, quanto sono serena io e quanto sono cambiata. Anche se lei è ancora nel retro di quel negozio, che da qui a un mese chiuderà.

Forse non sarà più un eterno blue monday. Chi lo sa. So solo che sono qui. Ancora in piedi, pronta a correre. E a raggiungere il mio sogno.
Che è un pò cambiato, così come sono cambiata io. O forse mi sono solo ritrovata.



N.d.R. Quando io e Stefania ci siamo conosciute per parlare della pubblicazione della sua storia, lei mi ha detto queste parole, che mi sento di aggiungere:

"Se tutto quello che ho dovuto affrontare, combattere e superare mi ha portata finalmente qui e ora rifarei tutto mille volte. Comprese le delusioni, le lacrime e le sconfitte. Per tutta la mia vita ho vissuto facendo ciò che la gente si aspettava che facessi. Ora, per la prima volta, voglio vivere come voglio".

Grazie Stefania per aver condiviso qui la tua storia, in bocca al lupo per la tua nuova vita!
​








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    Autore

    Chiara Caiazzo

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