Ho cambiato rotta tante volte, per tanti motivi diversi, ho provato strade più o meno facili e spesso non mi sono trovata davanti a un bivio, ma davanti a un burrone profondo che mi ha costretto a seguire una strada che non avrei mai voluto percorrere.
Scegliere la deviazione più dolorosa è semplice, solo una ha lasciato in me una profonda ferita, quella a cui ripenso ogni singolo giorno, quella che ha segnato e segna ogni scelta della mia vita.
Avevo 20 anni, una ragazzina come tante, con tanti sogni, un percorso parauniversitario che mi avrebbe permesso di fare il lavoro che volevo, un fidanzato che sognavo di sposare dopo qualche anno.
Una famiglia normale, una mamma che amavo, che amo, una quasi sorella che improvvisamente, un mattino d’autunno è volata via lasciandomi sola, completamente sola.
Papà non era in grado, e non lo è tuttora, di sostituire la sua figura nemmeno minimamente tanto è soffocato dal suo dolore. Sono figlia unica, non avevo fratelli e sorelle a cui appoggiarmi e i grandi di famiglia erano troppo occupati a consolare papà per occuparsi davvero di me.
Era il 13 ottobre del 1987, un mattino di un autunno particolarmente caldo, la mamma era in un centro di riabilitazione dopo aver subito un’operazione complessa al cuore.
Sarebbe tornata a casa da lì a due giorni, invece quel mattino, mentre io lavoravo ai ferri guardando la televisione e cercando di finire il maglione che le stavo preparando per le sue dimissioni, dalla porta intorno alle 9 del mattino entra mio papà, con mia zia e suo marito.
Ricordo bene quell’istante, e ricordo la bimba che ero, ricordo la reazione che ho avuto.
Li ho guardati, non hanno dovuto dirmi nulla, e ancora nelle orecchie risuona il mio NO, non ho detto altro, non avevo forza per fare o dire altro solo urlare NO.
Non so chi ha spento la tv, chi ha ritirato i miei ferri e il maglione, non ricordo nemmeno di essermi cambiata per uscire. Però ricordo che ho preso le sue mani gelide tra le mie, le ho scaldate; speravo di ridarle la vita, speravo di vincere la sua morte con il mio amore.
Papà era completamente sperso, ho dovuto chiamare io tutti i parenti per avvisarli della tragedia. Ho dovuto organizzare il funerale, scegliendo foto, bara, fiori, ricordini.
Il giorno del funerale, conscia della situazione economica in cui eravamo (avevano appena comprato casa), ho chiesto ai datori di lavoro di mamma se potevano assumermi.
Nel pomeriggio mi hanno portato a casa di una zia e lì tutti mi dicevano: “Pensa a papà!".
Pensa a papà? E a me chi ci pensa? E’ crollato il mio mondo, il mio universo e come posso io pensare a papà?
Mi sono chiusa in uno stanzino e lì sono rimasta per ore, da sola.
Dopo nemmeno due mesi ero nel suo ufficio, alla sua scrivania, con i suoi registri tra le mani, e ho proseguito lì, dove lei aveva interrotto il suo lavoro di contabile.
Ho preso i miei sogni e li ho chiusi in un cassetto. Ho imparato ad usare la lavatrice, a stirare, a pulire una casa intera, a fare la spesa, ho imparato il suo lavoro. E davo a papà buona parte del mio stipendio, per pagare il mutuo della casa che avevano comprato.
E no, non sono un eroe per quello.
Ho fatto quello che dovevo fare, rinunciando per amore a realizzare il mio sogno di ragazza.
Dalla bambina che ero, viziata, coccolata e protetta dalla mamma sono diventata una “donnina”, una padrona di casa.
Ma ho comunque scelto di vivere, e ho vissuto per anni pensando a cosa avrebbe fatto, detto o pensato lei.
Ci ho messo una vita a lasciarla andare, a farmi una ragione del suo non esserci più.
Al fatto che i miei figli non hanno avuto la loro nonna con cui giocare, a perdonare papà perché non è in grado di darmi e dimostrarmi il suo amore come avrebbe fatto lei.
Ma un giorno ho capito, non avevo colpe per la sua morte, non aveva colpa nessuno. Semplicemente era successo, non siamo eterni, e quello che mi ha dato in vent' anni non poteva essere sprecato, soffocato dal dolore, dalla disperazione o dalla depressione.
E giorno dopo giorno ho imparato a vivere senza di lei, amandola come prima e forse più di prima. Perdonandole anche i lati che ci facevano litigare. Era umana non perfetta.
Il vuoto che ha lasciato è stato difficile da sopportare, non era solo la mia mamma, era la mia musa, la mia amica, la mia compagna di shopping e di avventure.
Fin dai primi giorni non ho mai rinunciato a vivere, la vita è il suo dono più grande, non mi posso abbattere e non posso cedere perché non le farei onore. Lei ha amato totalmente la sua vita e mi ha insegnato ad amarla.
E quindi ho imparato ad amare il suo lavoro, tanto che ancor oggi, se incontro i miei vecchi datori di lavoro, mi dicono che insieme a mamma siamo state le impiegate migliori.
Ho imparato a gestire la casa, a vivere senza di lei senza perdere la gioia di vivere.
E seppure faccio fatica a parlare di lei senza piangere, sono tutto fuorché una persona triste o una persona che vive nel passato. Lei rappresenta le mie radici, la mia storia e in un certo senso il mio futuro.
Oggi se riguardo indietro, vedo quella bimba seduta sul divano con i ferri in mano, e vorrei abbracciarla, stringerla forte, confortarla e dirle: tranquilla, c’è la farai e la sentirai sempre con te anche fra trent'anni.
Non temere bimba riuscirai ad andare avanti, avrai due figli meravigliosi e anche i tuoi sogni usciranno dal cassetto dove li hai messi, e seppure ad un età avanzata riuscirai a realizzarli. E ancora, le asciugherei le lacrime e le direi di non avere paura che ci sarò sempre io con lei.
N.d.R. Con Barbara abbiamo passeggiato a lungo, parlando dell'essere genitori e figli, di gioie immense e dolori cocenti, di ricette e tradizioni da tramandare.
Insomma, abbiamo parlato di vita, quella che lei ama così tanto e che affronta con occhi che brillano e un dolce sorriso (uguale a quello della sua mamma nella bellissima foto qui sopra).
Grazie Barbara per aver condiviso la tua storia. In bocca al lupo per la tua nuova vita!